Il mondo in un angolo
Ammesso che abbia senso parlare ‘introversione e riservatezza riguardo la pittura, ritenuto possibile che possano esistere una figurazione urlata e, di contro, una rappresentazione muta e discreta, allora – a ragione – la ricerca di Giovanni Iudice può e deve essere definita riservata e silenziosa, paradossalmente adatta al sussurro nonostante quella sua ossessione iperrealista continuamente all’inseguimento di nuovi particolari da scoprire, descrivere e raccontare. Per quanto siano quasi sempre costruiti attorno al nudo femminile, alla morbidezza di corpi e carni e in un momento storico, dominato dalla comunicazione di massa, in cui gli unici valori estetici riconosciuti sembrano essere il gusto del glamour e un’ostentata bellezza vuota e assoluta i lavori del pittore siciliano non risultano mai in alcun modo aggressivi, non pretendono d’affascinare e incuriosire lo spettatore, non reclamano, con sfrontatezza, quell’attenzione violenta e morbosa che pure il tema raffigurato e la decadente cultura del nostro tempo potrebbero forse imporre. Il mondo di Iudice,
anche quando è esposto e messo sotto osservazione, anche mentre i suoi protagonisti sono studiati e pesati con la lente d’ingrandimento, resta sempre in un angolo, appartato e schivo. Rimane sempre lontano, nonostante sia sotto gli occhi di tutti. C’è, a guardare con calma le tele, a concedere loro tutto il tempo di cui hanno bisogno, uno strano movimento, uno spiazzante processo d’avvicinamento e insieme allontanamento dei soggetti dallo spettatore: se, da una parte, la precisa texture dei pavimenti, la decorazione millesimale delle stoffe e la maniacale riproposizione dei particolari dell’arredamento finiscono per attrarre gli sguardi, per precipitare la composizione al fianco, quasi tra le braccia, di chi la osserva, d’altra parte la posa dei prolagonisti, il loro atteggiamento di diniego (pur di fronte a una nudità completa), le loro espressioni disinteressate alla seduzione di chi li sta osservando hanno l’effetto di costruire una barriera insormontabile tra interno ed esterno dell’opera, di proiettare l’immagine in un’altra dimensione, parallela ma non tangente quella del pubblico. In pratica, seppure apparentemente conosciuto, seppure assolutamente vicino alla quotidianità, ai costumi e alle passioni degli spettatori, l’universo dipinto dall’artista non si concede mai del tutto, non si arrende alla curiosità, non cede. È evidente che né i luoghi né le figure ritratte abbiano qualcosa da nascondere, come è palese che nessun dramma, nessuna vicenda, nessun colpo di scena possa essere anche solo lasciato immaginare dalla composizione, eppure gli interni e i personaggi protagonisti dei quadri non si lasciano vincere dalla curiosità, non abbassano mai, nemmeno per un istante, le loro barriere naturali. Chi osserva le scene rappresentate – e, grazie a un iperrealismo fuori dall’ordinario, è in grado di scrutare dappertutto, in virtù d’una pittura certosina d’amanuense riesce a misurare ogni cosa nell’opera non le riesce comunque a possedere, non può in alcun modo farle sue. Perché, nelle immagini di pittore, ci sono quell’orgoglio e quella riservatezza, del tutto siciliani, tipici di un mondo dove l’essere non è stato ancora sopraffatto dall’apparire: come a dire, mi mostro ma non mi arrendo, sopporto ma non accetto. Mentre in Italia e all’estero si è andata affermando una figurazione mediale, modulata dalla piattezza formale e concettuale delle immagini televisive, Giovanni Iudice sulla scia della tradizione, lungo un percorso segnato a suo tempo dal realismo intimista continua a cercare su tela la terza dimensione. Ma non si tratta, semplicemente, di volume o prospettiva, non si tratta di linee di fuga e rappresentazione credibile e veritiera di un ambiente; la terza dimensione rintracciata dall’artista nei suoi lavori è la dimensione morale dell’uomo, è quella dignità che la cultura massmediale gli va via via sempre più negando. Le sue figure femminili sono ancora più *ARTE nude di quelle mostrate dal piccolo schermo, sono ancora più esposte alla curiosità degli spettatori, eppure nessuno riesce a reggere il loro sguardo diretto, riesce a piegare la loro indole forte e austera, riesce a mutare la Nello studio di Sandro. 2003 matita su carta, cm. 80×110 loro decisione. La pittura di Iudice ridà ai personaggi della nuova figurazione quello che molta parte della ricerca, per inseguire il successo più facile, ha loro tolto: il carattere. Sono personaggi a tutto tondo perché sono disegnati con capacità rara, perché sono sapientemente collocati e confrontati agli spazi ma, soprattutto, lo sono a causa di quella fierezza testimoniata dallo sguardo, per via di quella tranquillità che neppure l’occhio indiscreto di una pittura che fruga tra i segreti del corpo è capace di interrompere. Con apparente noncuranza, ma in realtà a seguito di uno studio e un pensiero lunghi e faticosi, Iudice colloca le sue figure in case semplici, senza pretese, dove tutto è a posto e di buon gusto ma nulla, proprio nulla, appare davvero degno di nota. Non ci sono cadute di tono, certo, ma né i bicchieri, né gli arredi, né il design possono mai eccellere, meritare punti di prestigio. Eppure, in queste case ammobiliate con modestia, tra mobili che forse non hanno mai visto veri splendori, ragazze belle ma assolutamente comuni assumono una statura monumentale, imponente, granitica. La loro carne è resa con la dovuta morbidezza, i loro difetti non sono amplificati, ma il pennello preciso dell’autore non punta a trasformarle in dee della bellezza moderna, in muse ispiratrici, in amori ideali; cerca piuttosto solo di ricostruirle all’interno, di riportare una volta per tutte sulla tela quello che il Novecento aveva saputo cogliere e che la cultura di fine millennio vuole dimenticare: la personalità, la bellezza interiore, quella sicurezza nelle proprie scelte e nel proprio essere che, inevitabilmente, finisce col riflettersi nei lineamenti e nella perfezione del corpo. A bene osservare i dipinti e le tante matite, ad analizzare con attenzione le fonti luminose riprodotte nelle raffigurazioni a colori di stanze e interni, ma anche il gioco di chiaroscuri sulle membra descritte in bianco e nero, Iudice è, con tutta evidenza, un maestro indiscusso nell’uso delle luci, nel saper ammorbidire i contrasti per tirar fuori dai contesti figure tanto delicate quanto pesantemente presenti. Ma, ancora una volta, se si dovesse giudicare l’artista solo per la capacità di riproduzione realistica, si commetterebbe un grossolano errore: i personaggi, che siano ritratti in ambienti ricchi, spogli o inesistenti, che siano ripresi in bianco e nero o nei toni rosa della carne, emergono sempre dalle ombre, hanno sempre sul volto una luce piena e sicura, bella senza essere abbagliante. E il lampo del carattere, il bagliore sicuro della consapevolezza.
In una figurazione dedita soprattutto a riprodurre le mancanze del mondo attuale, l’artista ragusano rappresenta una vera eccezione. La sua ritrattistica parte da lontano, dalle lezioni del Novecento, per raccontare oggi la necessità di una ricostruzione. Quella dell’uomo.