Elena Pontiggia

Elena Pontiggia

Giovanni Iudice. Il senso del disegno

Il disegno, diceva Ingres, è la probità dell’arte. È un aforisma che, tradotto in italiano corrente, significa pressappoco: “il disegno dà la misura dell’onestà e dell’autenticità di un artista”
Nel caso di Giovanni Iudice, effettivamente, il disegno sembra testimoniare una vocazione espressiva autentica e senza trucchi. Le sue opere si reggono soprattutto sui valori del disegno. Sembrano istantanee scattate con la matita.
Sembrano, ripetiamo, ma non lo sono. Iudice, a prima vista e per comodità di definizione, potrebbe essere considerato l’erede di una scuola realista, che proprio in Sicilia ha avuto una tradizione alta e ininterrotta, sia nel campo della pittura che in quello della fotografia.
Il realismo di Iudice, però, è così preciso e meticoloso, così millimetrico e analitico, da risultare estraneo alle categorie più prevedibili. Del resto già Morandi avvertiva che “non c’è niente di più astratto del visibile”, intendendo dire che non c’è niente di più metafisico delle cose concrete. (La contrapposizione fra astrazione e figurazione, sia detto per inciso, è ormai felicemente superata, e in ogni caso non riguarda la generazione di ludice).
Osserviamo dunque qualche disegno del giovane pittore siciliano. Spiaggia, per esempio. Apparentemente è la cronaca di una giornata al mare, il frammento di una scena che abbiamo visto tante volte: bambini, ragazzi, uomini che giocano sulla spianata di sabbia, figure che camminano o nuotano fra le onde, non lontano da riva, sullo sfondo di una testuggine di ombrelloni e bagnanti.
E un’immagine che non ha niente di ermetico: d’altra parte non c’è niente di più misterioso delle cose in cui non c’è nulla da capire.
E poi la traduzione della scena in un accordo di soli bianchi e neri, in un implacabile contrappunto di valori luministici; la sapiente esplorazione delle gamme dei grigi, degli argenti, delle ardesie (il disegno amalgama i toni della visione: diventa colore, anzi copre l’estensione di un’intera tavolozza); il potenziamento della luce, che non brilla e non splende, eppure fa da contraltare, da paradossale ombra a tutti gli elementi della scena contribuisce a mettere fra parentesi la concretezza della visione. Il tempo in cui avviene o è avvenuta la vicenda (ma si può davvero definire tale? Le figure di Iudice non agiscono e non hanno storia, al massimo vivono) non è più così chiaro. Potrebbe essere ieri, ma anche trent’anni fa. O, forse, domani.
Concreta è, semmai, la fisicità degli elementi: una matericità sottilmente indagata con la matita, attraverso i minimi corrugamenti della superficie, attraverso il lieve vibrare delle masse di bianco e nero. E una forma compiuta, quella di Iudice, che però nelle pieghe del suo realismo rivela perfino qualche suggestione informale.
Ma, ancora, dobbiamo chiederci: questa ostinata e tetragona fedeltà alla visione, così ome si presenta; l’apparente rinuncia a scegliere fra i vari particolari; ‘impassibilità dello sguardo che sembra eludere ogni confessione autobiografica, ogni posizione soggettiva, anzi ogni cognizione dell’io, che cosa nasconde?
Le cose, insomma, si stanno complicando. Allora stacchiamoci dalla Spiaggia e interroghiamo un altro disegno: per esempio Pachino, del 1997.
Qui vediamo le case disadorne di un paese del Sud, che fiancheggiano una strada in salita, percorsa da un rigagnolo d’acqua sporca. Due avvisi funerari, affissi ai muri, introducono con discrezione un’idea di lutto e di morte.
Iudice, decisamente, non punta sulla facile bellezza. Prima non l’avevamo notato, ma nella Spiaggia aveva spento i colori più decorativi (eppure in Sicilia il mare cattura tutti i toni del verde e del cobalto: non per indulgere alla retorica, ma qualche concessione l’artista poteva anche farla. Invece, niente). Così, in questa via di Pachino, sarebbe bastato poco: far splendere di bianco i muri calcinati delle case, giocare con le ombre.
Ma proprio questo è il punto. Iudice racconta una realtà dimessa e, tutto sommato, dolorosa. Una realtà senza maschere e senza illusioni.
Intendiamoci, nei suoi disegni non accade niente di drammatico, anzi. Una ragazza passeggia per la strada, un’altra prende il sole sulla sdraio (Giardino, 1999), una terza esce dal bagno (Figura che si veste, 2000). Una porta si apre su una cucina componibile, ben fornita di mestoli, elettrodomestici e detersivi (Interno di cucina, 2001). In una stazione di polizia ferroviaria non hanno segnalato nemmeno uno scippo. Tutto è calmo, immobile. (La stazione, 1999). Anche la malattia, quando appare, è riportata in una cornice domestica, senza gridi (La vecchia ammalata,1996).
Il dramma, dunque, non c’è. A differenza di tanto realismo e di tanto espressionismo, nelle opere di ludice non c’è nessun teatro dell’angoscia, nessuna accademia del negativo. Eppure. Eppure il tono ribassato del bianco e nero, l’assenza di qualunque nobiltà della scena, la rinuncia caparbia a ogni abbellimento (come in quell’amplesso che si consuma senza giochi di seduzione, sotto i grani di un rosario) ci mettono di fronte a uno specchio impietoso.
La nostra vita è così, senza lode. Sarà pure senza infamia, ma questo non ci consola. Come dice Nanni Cagnone “se solo fossimo un po’ più eleganti, potremmo vivere nella Suburra”
Nei disegni di Iudice non c’è angoscia, abbiamo detto. Ma un’ansia sottile nasce da quel senso di finitezza, di insufficienza e di povertà (una povertà mentale, più che economica) che ogni immagine trasmette. E nasce, più ancora, da un sentimento di sospensione che il disegno comunica.
Nei suoi fogli tutto è troppo preciso, per non risultare sfuggente. Tutto è troppo esatto, per non risultare indefinito. Tutto è troppo evidente, per non risultare oscuro: di quell’oscurità che non si dirada a colpi di formule, grazie agli addetti ai lavori, ma rimane un gorgo e un grumo insolubile.
Hopper, Wyeth, la lezione di stile della fotografia e del cinema hanno dato ai disegni di Iudice una dimensione metafisica. Il suo realismo non si immerge nelle cose, ma le sovrasta. E lui stesso, Iudice, ha capito che non si può parlare di realtà se non si ammette che della realtà fa parte anche il mistero. Anzi, ne è la parte preponderante.

in catalogo Giovanni Iudice Dipinti e disegni
Galleria Brera 5 Milano 2002 Mazzotta Edizioni

Marco Vallora

Marco Vallora

Il corpo della pittura

…Curiosamente, ma coerentemente, ludice si lamenta che qualche esegeta abbia regalato alle sue tavole un pathos d’indignazione sociale, che la sua attenzione al reale non vuole ammettere o meglio, non vuole perseguire. Ma a giudicare da come i suoi nudi si squadernano arresi e come appesi al gancio domestico dello stupore, guardando fissamente nel mirino della nostra curiosità d’intrusi, è ovvio che gli stessi si ripropongono ogni volta come un interrogativo involontario sul ruolo voyeristico dell’occhio, che scruta e stampa nel vuoto, questo luminosissimo negativo del sotto-vivere quotidiano (anche quando ci si sposta in spiaggia: questa trascrizione chimica e moderna delle occasioni boudiniane, o macchiaiole, di laica conversazione balneare). E pensando pure al gioco di specchi deformi e di occhi deviati sin dalla pittura manierista credo che sia difficile trovare un similare autoritratto dell’artista come giovane orinatore: non certo una desacralizzazione del ruolo di pittore, ma semmai lo specchio dilatato e autocritico di un artista, che si guarda anche, pittoricamente, nel contorno ‘indiscrezione della quotidianità. Dove sta realmente lo specchio, in questo autoritratto da Lopez Garcia sicilianizzato? …

dal catalogo mostra In Forma di Figura, 2002, Salarchi Immagini edizione

Maurizio Fagiolo Dell’Arco

Maurizio Fagiolo Dell’Arco

Costruire, analizzare, distruggere.

“Ancora non conosco Giovanni ludice. So che è di Gela dove è nato e lavora, so che fa l’infermiere, so che avrà trent’anni nel 2000, so che ha esposto finora soltanto in spazi locali. Eppure mi sembra, attraverso i suoi works on paper’, di averlo sempre frequentato.
Un fatto importante su ludice, devo dirlo subito. Anche se la mostra presenta matite su carta, non si tratta di una esposizione di disegni. Iudice avverte la necessità di questa tecnica perché la sua acuta percezione del vero possa tradursi in perfezione di segno. Works on paper’, si dice più giustamente in lingua inglese.
Il bianco e il nero vogliono catturare la luce, allora. Un mistero sempre rinnovato e attuale. “Pittura di luce’, l’inventore Talbot definì nel suo primo brevetto, la fotografia.
“La luce rivela la materia per se stessa diceva un secolo fa Giacomo Balla, verificando la ‘divina luce’ dei manifesti futuristi. Ricordo che sono in bianco e nero perfino alcune parti dei dipinti metafisici su tela di Giorgio de Chirico o quadri interi degli anni Venti.
Un modo sperimentale per rendere l’assenza di tempo, l’aspetto ‘fantasmico’ (così parlò il Metafisico) che è insito, per chi riesce a
vederlo, nel cuore della realtà visiva.
Ho chiesto una paginetta a ludice per questa mostra, tanto per sapere da dove viene e dove vuole andare. È difficile far scrivere un pittore, ma quando lo fa (ho costretto alla parola anche Ferroni che non aveva mai scritto) ci troviamo di fronte a una rivelazione.
Si leggono in questo catalogo le sue parole.
Un ricordo d’infanzia (e come poteva essere altrimenti?), la viva presenza della luce, l’appartenenza a un luogo e a un tempo. Un ‘angolo sperduto’ e un lavoro che gli ha fatto comprendere qualcosa (la sofferenza’). Una tecnica che gli ha permesso finora (sono parole sue) di intensificare la drammaticità..
E domani? Forse il work on paper’ si dimostrerà una ricerca iniziale (come fu per Balla) forse la sicilitudine (così parlò Sciascia) si stempererà nel segno di qualcosa che superi le radici. Ma sono certo (attento al successo!) che la voglia d’immagine di questo scaltrissimo autodidatta continuerà a procedere attraverso sfocature e messe-a-fuoco, sovraesposizioni e notturni, tagli e dettagli. Sempre alla ricerca di frammenti (fotogrammi) di realtà: a patto che diventi irreale”

in Catalogo Giovanni Iudice, 25 disegni e 3 dipinti
Galleria Repetto e Massucco, AcquiTerme,1998.

Franco Fanelli

Franco Fanelli

La tradizione del ricercareù: Sherman, Gatti, Levi Della Torre, Gas e Iudice

… L’ambito referenziale del più giovane dei cinque, Iudice, volge infine alle più consolidate “scuole” della figurazione contemporanea, quelle britanniche (Freud), francese (Garel, per limitarci a un nome) e soprattutto spagnola (Antonio López). Iudice lavora sul tema, eterno, della collocazione di una figura in una spazialità, qui l’interno domestico, quotidiano ed esperito autobiograficamente. L’introversione tematica, che include corporalità e scandaglio verso il “sé”, magari nell’accezione e nel confronto, caro a Jean Clair di “identità e alterità”, è aspetto che colloca Iudice in alcuni versanti della contemporaneità. Ma quel che colpisce, al di là di queste considerazioni, è la dignità attribuita dall’artista siciliano al Disegno, che intende come opera definitiva, approdo e non preliminare, quasi a voler assegnare alla più spartana e silente tra le discipline dell’arte visiva una funzione comportamentale, a voler comunicare la volontà di una non più demandabile conservazione di codici toccati in eredità a quelli che verosimilmente saranno per molti anni gli ultimi dei pittori e dei disegnatori. …

in catalogo: figure luoghi riflessioni dell’identità, Galleria Civica d’Arte Contemporanea, 1998
38º premio Suzzara MN

Gino Carbonaro

Gino Carbonaro

Ricordo la mia prima impressione quando l’amico Scribano, mi mostrò i lavori di Giovanni ludice. Sapevo che mi sarei trovato davanti ad un disegnatore molto abile, ma rimasi incredulo al primo impatto con le sue opere. Quei lavori erano talmente simili a fotografie, che non riuscivo a credere che fossero disegni.
Chiarito l’equivoco, mi resi conto che si trattava di lavori eccezionali, non tanto per l’abilità tecnica dell’artista, ma per la forza serena che li dominava, per la bellezza intrinseca delle forme, e soprattutto per i messaggi in essi contenuti . Il linguaggio e la tecnica sono fondamentali per la realizzazione dell’opera, ma sono pur sempre mezzi di cui l’artista si serve per far conoscere agli altri suo mondo. Elogiare la capacità tecnica, non serve per definire l’opera e la personalità dell’artista.
A queste opere bisogna accostarsi serenamente, senza lasciarsi influenzare neppure dalla qualità dei soggetti, che sembrano attinti al repertorio di album di famiglia. Un uomo nudo nella vasca da bagno; ragazzini che smettono di giocare per farsi riprendere in gruppo; un giorno di festa trascorso da una famiglia ai bordi di un fiume, sono soggetti che ludice strappa al consueto quotidiano per farli protagonisti delle sue attenzioni, per utilizzarli ai fini del discorso che intende fare.
ludice parte da una realtà oggettiva, ma di fatto la trasfigura al tocco della matita, calandola in una atmosfera dove il tempo sembra essersi fermato
Uomini ed eventi si trasformano subito in immagini rubate al tempo, sovrani in un mondo di pace e di silenzio. Il realismo è solo apparente. In questo mondo sognato, ogni soggetto vive per sé: isolato dagli altri, non comunica, non ha niente da dire. Di fatto, nelle opere di ludice, sia gli uomini che le cose sembrano vivere fuori dalla realtà, noncuranti del mondo che li circonda.
Cosi, utilizzando il primo e il più elementare linguaggio, quello della fotografia e delle immagini, ludice riprende la realtà così come gli appare, senza veli, senza filtri, senza nostalgie del passato, senza speranze di futuro. Ma propone subito una equazione incontrovertibile: realtà è la vita; la vita è nel tempo; e il tempo è il vero padrone della vita. Ora ludice prova a bloccare il tempo, a fissare l’attimo fuggente fra l’ieri che non c’è più e il domani che non c’è ancora, e ci invita a riflettere. Si delinea così una indefinibile filosofia della vita. Il codice è fatto di immagini che la mente concettualizza.
Emergono da qui le grandi categorie della vita: spazio-tempo-immagine, cui va ancora aggiunto il dolore, la mancanza di speranza, il mistero delle cose.
Se la realtà è vita, la vita è sostanzialmente immagine, pellicola che emerge dal nulla, sfumatura di bianco e di nero che le luci e le ombre rilevano. Di fatto un nulla che è solitudine, e qualche volta, squallore. Tanto si legge nelle opere.
Quella donna nuda, seduta, immobile, che fissa senza pensieri gli occhi di chi la riprende, dice tutto del suo esistere e del tempo, e delle sue speranze e dei suoi valori. Ma soprattutto ci dice che la vita è immagine che può essere resa eterna nella foto-disegno; pellicola di toni che cercano di beffare il tempo. Il resto non ha senso.
Quell’uomo nudo nella vasca da bagno ha pure fermato il tempo. E’ un uomo che non guarda, non pensa, non parla. Non dice niente, perché non c’è niente da dire, in questa vita. Cullato dal tempo, si gode il suo tempo. Le parole sono fiato di voce e l’immagine è evanescente, pellicola, si è detto, non dissimile da quella che ricopre la carta fotografica.
Nelle opere di ludice tutto è livellato ad un comune denominatore: la macchinetta del caffè, la bottiglia, il pavimento, i tubi contorti su un muro di lebbra, gli uomini, le donne, gli atti. Tutto è posa, tutto è attesa, tutto è immagine nel segno della filosofia e dell’arte. Il tempo non esiste, la morte è un evento, tutto passa e ludice coglie l’attimo fuggente che qui, nelle sue opere, nessuno riesce a vivere, a carpire, a capire. Cosi la periferia si fa centro e le cose abbandonate in una sorta di crepuscolo degli Dei, vengono sottratte al tempo che li divora. Bloccati nell’attimo, uomini e cose vivono finalmente da protagonisti, soggetti privilegiati e centrali della foto ricordo che immortala l’evento. Cosi, il particolare che tutti trascurano diventa importantissimo. Protagonista è il punto geometrico, spaziale o temporale poco importa, perché la traccia che lascia il segno della matita, diventa la parte che sostiene il tutto Conferma dell’esistere e prova dell’essere esistito è data dal ritratto, dalla immagine. L’immagine è documento di vita e di morte. Le cose esistono perché è dimostrato che esistono: dalla fotografia, dall’immagine, dal disegno.
Non avvicino ludice a Pirandello, né voglio ricordare Beckett di aspettando Godot, che non arriva, ma è evidente che il protagonista dell’opera è il tempo, anzi l’attimo colto, per essere rubato al tempo e consegnato all’eternità o all’immortalità che è lo stesso. Attimo che realizza il paradosso. Perché, mentre lo blocchi lasciandolo identico a se stesso, in realtà lo dilati all’infinito, rendendolo grottescamente identico a se stesso, immutabile, eterno. Cosi il senso dell’esistere è un non-esistere, l’individuo sta con ali altri, ma è solo, la vita è vuota, e il senso squallido delle cose è un non-senso, perché il movimento si congela, mentre l’attimo si espande all’infinito.
I colori sono due il bianco e il nero, l’essere e il non-essere, sui quali incombe silenziosa l’ombra della morte: l’essere in bilico fra la vita e la morte, categorie che non mancano di attraversare l’animo dell’artista.
Paradossalmente, questo giovane artista gelese, parte da quella realtà dalla quale altri artisti prendono sdegnosamente le distanze, per spingersi al di là, alla ricerca di rapporti, armonie e contenuti che spesso sfuggono alla ragione.
ludice è un pittore dell’esistenza. Artista che ha come oggetto di ricerca l’esistente: il senso dell’esistere, l’essere nel tempo, l’essere affiancato dal nulla. Per questo, i disegni di ludice si collocano in una sorta di iper-realismo, proprio perché le sue opere vanno al di là (xpér) del primo livello di lettura della realtà.

dal catalogo Giovanni Iudice
Galleria Studio Nuova Figurazione, Ragusa 1996

Paolo Nifosì

Paolo Nifosì

Per un giovane siciliano che si accinge a scoprire la realtà e la vita con l’urgenza di rappresentarla c’è un duplice rischio che dipende dalle condizioni socio-culturali: quello, cioè di uniformarsi al linguaggio dell’avanguardia, magari conosciuto tramite riviste d’arte o di saggi ricchi di apparati iconografici di opere di questi ultimi decenni, con una seducente estraneazione rispetto a quanto percepisce; oppure quello di ripercorrere idee e immagini già consumate di una Sicilia che non c’è più o che comunque è marginale.
Giovanni ludice non è caduto in questi due tranelli e, usando la matita e il disegno, affronta la realta in modo autentico, cogliendo della vita siciliana il dato dell’omologazione al villaggio globale in cui viviamo. I suoi soggetti riflettono una condizione piccolo borghese e proletaria, colta prevalentemente in interni semplici ed anonimi, con armadietti pensili, un tavolo, ambienti cucina, corridoi con porte aperte verso il bagno o la camera da letto, o salotto, con attente graduazioni di luce che satura una stanza o si diffonde da una lampada. In questi spazi qualcuno prepara da mangiare, qualcuno legge un libro, o resta seduto in un momento di riposo. Vi sono anche interni in cui i soggetti sono i piatti e le pentole in un lavandino o i tubi dell’acqua che attraversano la parete. Il ritratto o i nudi femminili sono parte di questa realtà. Quella gente che è ripresa in interno ludice la ritrova anche in spiaggia. E questa la Sicilia di oggi, una realtà che si potrebbe confondere e scambiare con qualsiasi realtà piccolo borghese dell’area mediterranea che ludice fissa con penetrante efficacia e con esiti spesso poetici. Si considerino Interno con ritratto di Francesco n. 1 e n. 2 in cui troviamo due spazi spogli e poveri animati da un ragazzo ritratto con notevole intensità espressiva.
Difronte a questi disegni si pensa subito alla fotografia, e sicuramente il confronto con l’immagine fotografica è consapevolmente cercato da ludice. Ma ciò è irrilevante ai fini del risultato, in quanto, come direbbe Sciascia, sono immagini su cui è passata la poesia, e quanto potrebbe risultare riproduzione diventa opera emblematica, in sè autonoma, conclusa, che si ha il piacere di rivedere più e più volte. Non c’è dubbio che si evidenzia l’abilità, la bravura del disegno che ad onta di tanto spontaneismo è sengale di un ordine mentale e di un rigore formale. Ma non c’è solo l’abilità in ludice. L’abilità è un mezzo, non è un fine. C’è, invece, una capacità non comune di osservazione e di resa dello spazio, della luce, del corpo, degli oggetti, un’attenzione alla materia come sostanza delle cose: dai neri ai grigi ai bianchi la gamma della luce è tale che può considerarsi completa, in una sintesi che è percettiva e come tale avvertita come forma piena. Serve poco fare raffronti con opere di altri artisti sul versante del realismo, categoria alquanto ambigua e spesso inadeguata. ludice consapevolmente o inconsapevolmente è in questo versante con lo specificodi uno stile e di una realtà visiva inedita.

Dal Catalogo Giovanni Iudice
Galleria Studio Nuova Figurazione, Ragusa 1994.